lunedì 24 marzo 2014

pasta italiana, ma non tanto-

SICUREZZA ALIMENTARE

Da dove viene il grano per la pasta? Il 40% viene importato dall’estero e serve a migliorare la qualità. Intervista ad Andrea Villani della borsa merci di Bologna


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Da dove viene il grano con cui è fatta la pasta che mangiamo?
Da dove viene il grano necessario per produrre il pane e la pasta? Quanto c’è di vero negli allarmi, periodicamente lanciati da alcuni organi di informazione, sulla presenza di pericolose micotossine nei cereali di importazione? Per chiarire questi punti abbiamo intervistato Andrea Villani di AGER Borsa merci di Bologna, uno dei principali centri del commercio dei cereali in Italia, durante un convegno dedicato proprio al mercato internazionale dei cereali, con particolare attenzione all’Est Europa.



Parlando di cereali, e in particolare di grano, si parla di prodotto italiano al 100%?
«Quando si parla di grano portare avanti una battaglia per il made in Italy non ha molto senso – esordisce Villani – la cosa davvero importante è importare un prodotto di qualità garantendo l’efficienza dei sistemi di controllo che tutelano i consumatori».
Importare è dunque indispensabile?
«L’Italia produce poco più del 50% del proprio fabbisogno complessivo di cereali e semi oleosi. Per quanto riguarda il grano, importiamo più del 50% del grano tenero e il 30/40% del grano duro. Si tratta di due specie diverse, quello tenero (triticum aestivum) serve per preparare diversi tipi di farine che poi vengono utilizzate per produrre pane e prodotti da forno. Il grano duro (triticum durum) ha una composizione e struttura diversa e si usa per fare la pasta».
L’Italia li importa entrambi?
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Il nostro Paese è il principale produttore di grano duro al mondo insieme al Canada.
«Il nostro Paese è il principale produttore di grano duro al mondo insieme al Canada. Però circa il 50% della nostra produzione di pasta viene esportata, ed è una voce importante della bilancia commerciale. Per quanto riguarda il grano tenero ne importiamo soprattutto dalla Francia, anche se negli ultimi anni sono aumentati gli arrivi da paesi dell’Est che fanno parte dell’Unione Europea (Ungheria, Romania, Polonia) – ma anche lda Russia, Ucraina e Khazakistan. Questi Paesi rappresentano complessivamente il 25/30% delle esportazioni mondiali».
Ricorrere ai mercati esteri è inevitabile?
«Sì per ragioni quantitative, ma anche qualitative. Il grano è composto da molteplici varietà con caratteristiche differenti, e le farine industriali si ottengono mescolando grani diversi, per dare stabilità al prodotto. La materia prima di importazione serve a migliorare il contenuto  di glutine delle farine. I cosiddetti grani di forza, sono ricchi di proteine e sono necessari per prodotti lievitati come certi tipi di pane o il panettone».
Come garantire la sicurezza dei consumatori?
«In generale il grano è una materia prima abbastanza sicura, il rischio di imbattersi in partite contaminate da antiparassitari o metalli è limitato. In ogni caso nell’Unione Europea esistono standard di sicurezza sia per i prodotti comunitari che per quelli importati».
E per quanto riguarda la possibile presenza di organismi geneticamente modificati?
«Il problema della coltivazione di varietà geneticamente modificate non riguarda il grano, ma la soia e il mais. La legge italiana per ora vieta la coltivazione di varietà OGM, mentre la commercializzazione è permessa: la presenza del singolo ingrediente OGM non può superare lo 0,9 % e deve essere segnalato in etichetta, e questo, nel caso degli alimenti, scoraggia il mercato».
Resta il problema delle micotossine
«Le micotossine sono prodotte da alcuni funghi che si possono formare nel corso di stagioni sfavorevoli dal punto di vista climatico: per alcune di queste, in tempi relativamente recenti, sono stati stabiliti i tenori massimi – ridottissimi – ammessi nei prodotti per il consumo umano e per quello zootecnico. Per il grano il problema maggiore è il Deossinivalenolo ( DON ) prodotto da funghi del genere fusarium mentre il rischio di contaminazione da aflatossine riguarda soprattutto il mais».
Come rassicurare i consumatori?
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Si trovano prodotti che indicano la presenza di grano italiano, per chi non vuole rinunciare al made in Italy
«Negli ultimi anni i controlli per garantire l’arrivo sul mercato di un prodotto indenne da possibili contaminazioni sono aumentati in modo esponenziale, sia nelle aziende sia da parte degli organi di controllo ufficiali, e poi ci sono precisi parametri da rispettare riportati nei contratti di compravendita. In alcuni casi, i grani con presenza di micotossine superiore a quella ammessa per il consumo umano vengono destinati a mangime per animali. Oggi le nuove generazioni di agricoltori sono particolarmente attente a questi problemi».
Però i consumatori preferirebbero poter contare su prodotti made in Italy, o almeno conoscerne la provenienza …
«Quello del grano è un mercato mondiale che muove milioni di tonnellate, all’interno del quale ragionare in termini locali ha poco senso. Chi vuole può acquistare pane o pasta prodotti con grano di origine italiana, scegliendo ad esempio prodotti a Indicazione Geografica Protetta, oppure marche che indicano espressamente di fare ricorso a solo grano italiano»

3 commenti:

  1. Ma vi ricordate com'è finita la vicenda Casillo del grano canadese all ocratossina 2005 ? Che ne parliamo a fare !

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    1. nel nulla: s'è fatto una settimana di carcere e poi scagionato per non aver commesso il fatto. http://www.affaritaliani.it/puglia/casillo-assolto050712.html

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