Una illusione,che rischia di farci perdere di vista i reali pericoli per i redditi delle nostre aziende-
Spesso si dibatte sul fatto che le quotazioni del nostro grano duro vengono disturbate dalle importazioni proveniente da altri nazioni,in particolare dal Canada,il paese primo produttore al mondo,di duro.
In realtà,l'italia,al netto delle sue produzioni ,soddisfa più o meno il 60/70% del fabbisogno delle industrie di trasformazione,tenendo ben presente che esso è il secondo paese produttore al mondo di duro,con i suoi
4ML di tonnellate prodotte ,necessita di importare quasi 2ML di tonnellate l'anno per il fabbisogno industriale-
Ad oggi,l'italia importa duro da più parti del mondo,Canada compreso-
Da dati storici,si evince che il potenziale produttivo italiano potrebbe essere molto vicino al fabbisogno,negli anni 80 si raggiunsero gli 1,8Ml di ettari seminati a duro,naturalmente questo dato era drogato dalle quote pac,che a all'epoca raggiungevano il vecchio £ 1.000.000,di lire per ettaro,portando all'estremo la pratica del ringrano,facendo abbassare drasticamente il livello qualitativo delle granelle-
Ad oggi,la superficie seminata a duro,si aggira intorno ad 1Ml di ettari,in parte la nuova pac dal 2005,in parte il crollo dei prezzi,hanno fatto aumentare la superficie incolta del bel paese,e la coltura che ne ha risentito di più è stato proprio il grano duro-
Tuttavia,di fronte a questo scenario,importazioni o nò,il nostro prodotto dovrebbe mantenere delle quotazioni abbastanza sostenute,la logica di mercato domanda offerta,gioca a nostro favore,invece ,si fà fatica a far quadrare i conti,i listini sembrano come muoversi sulle montagne russe,a volte,si scende al di sotto dei costi di produzione,tanto che in alcuni areali,dato le basse produzioni,seminare duro è da autolesionisti-
I motivi di questa eccessiva volatilità dei mercati,è da attribuire al mondo finanziario,che ormai controlla l'intera economia globale,ed essa muovendosi sotto l'impeto del profitto a tutti i costi ,ha fatto della speculazione una ragion di vita,finendo per sconvolgere tutte le regole naturali,che determinano le dinamiche del mercato, di un determinato prodotto,grano duro compreso,nonostante esso non abbia strumenti finanziari di riferimento,più avanti ,vedremo,come nel contesto delle valutazioni delle commoditys agricole quotate in borsa sia influenzato anche il suo valore-
:,di questo aspetto il blog si occuperà più avanti-
-Intanto,alla domanda perchè importiamo, qualcuno risponde,seppur di parte,c'è una verità di cui bisogna tener conto,la nostra produzione non è sufficiente,le importazioni,per quanto siano insidiose per il nostro prodotto sono necessarie,è del tutto evidente,che i nostri problemi,non sono rappresentati solo ed esclusivamente dalle importazioni,e neanche dalle super produzioni dei nostri concorrenti esteri-
Sono tante le dinamiche che insidiano i redditi delle nostre aziende,dinamiche che tratteremo piu avanti.
http://agronotizie.imagelinenetwork.com/agricoltura-economia-politica/2014/04/17/cereali-in-gennaio-14-per-l-export/37718
’INTERVISTA A RICCARDO FELICETTI, (AIDEPI): «LA QUALITÀ È INDIPENDENTE DALLA MATERIA PRIMA»
«Pasta italiana, nessuna furbizia
O importiamo il grano o chiudiamo»
il 33% della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati con marchio «made in Italy», contiene ancora oggi materie prime straniere
«Solo propaganda». Riccardo Felicetti, presidente dei pastai di Aidepi, l’associazione imprenditoriale di settore, bolla così l’intervista di Roberto Moncalvo sui furbi del made in Italy. Il presidente di Coldiretti aveva detto alCorriere che il 33% della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati con marchio «made in Italy», contiene ancora oggi materie prime straniere all’insaputa dei consumatori. E aveva citato «le lobby dell’agroindustria» che si sono opposte alla legge dell’etichettatura dei prodotti.
«Sia chiaro - precisa Felicetti - se ci sono frodi vanno punite. Ma se compro grano all’estero, lo tratto in Italia e lo utilizzo per la pasta, questa è tutta un’altra storia».
«Sia chiaro - precisa Felicetti - se ci sono frodi vanno punite. Ma se compro grano all’estero, lo tratto in Italia e lo utilizzo per la pasta, questa è tutta un’altra storia».
Ce la racconti questa storia
«È semplice: o importiamo grano dall’estero o chiudiamo i pastifici. La produzione italiana non è sufficiente a soddisfare i volumi di pasta,essendo noto che dobbiamo approvvigionarci all’estero nella misura del 30% 40% a seconda delle annate. E poi non tutto il grano italiano ha la qualità sufficiente »
Il grano italiano non è sufficiente o non è sufficientemente buono?
«Ci sono importazioni di grano duro fatte apposta per migliorare quello italiano. Ovviamente ce n’è di buono, poco buono e affatto buono. Si importa anche per mantenere la leadership nel mondo».
E informare i consumatori sull’origine della materia prima le sembra un’eresia?
«È una situazione che stiamo studiando, sia a livello comunitario che a livello associativo ma non è affatto semplice. La nostra materia prima è la semola di grano duro ed è italiana. Ma determinare l’origine dei grani che compongono la semola è complesso e resta il fatto che la qualità della materia prima non può essere determinata dalla sua provenienza. Non è l’origine del grano a determinare la qualità del prodotto o il successo di un’azienda, ma il “saper fare” dell’azienda stessa».
Moncalvo ha parlato di contraffazione, cosa intendete fare per indicare l’origine delle materie prime?
«Stiamo collaborando con la Commissione europea per armonizzare a livello comunitario le legislazioni, non dipende solo da noi ed è una questione che non riguarda solo l’Italia. Ci stiamo lavorando, ma mentre ci lavoriamo, sentiamo certe dichiarazioni che ci fanno male perché gettano discredito su un’intera categoria che è a tutti gli effetti la bandiera del made in italy».
Si riferisce ancora a Coldiretti?
«Noi stiamo cercando di capire come andare incontro ai consumatori, essere sinceri e corretti. Ma con la propaganda e gli slogan non si va da nessuna parte».
«È semplice: o importiamo grano dall’estero o chiudiamo i pastifici. La produzione italiana non è sufficiente a soddisfare i volumi di pasta,essendo noto che dobbiamo approvvigionarci all’estero nella misura del 30% 40% a seconda delle annate. E poi non tutto il grano italiano ha la qualità sufficiente »
Il grano italiano non è sufficiente o non è sufficientemente buono?
«Ci sono importazioni di grano duro fatte apposta per migliorare quello italiano. Ovviamente ce n’è di buono, poco buono e affatto buono. Si importa anche per mantenere la leadership nel mondo».
E informare i consumatori sull’origine della materia prima le sembra un’eresia?
«È una situazione che stiamo studiando, sia a livello comunitario che a livello associativo ma non è affatto semplice. La nostra materia prima è la semola di grano duro ed è italiana. Ma determinare l’origine dei grani che compongono la semola è complesso e resta il fatto che la qualità della materia prima non può essere determinata dalla sua provenienza. Non è l’origine del grano a determinare la qualità del prodotto o il successo di un’azienda, ma il “saper fare” dell’azienda stessa».
Moncalvo ha parlato di contraffazione, cosa intendete fare per indicare l’origine delle materie prime?
«Stiamo collaborando con la Commissione europea per armonizzare a livello comunitario le legislazioni, non dipende solo da noi ed è una questione che non riguarda solo l’Italia. Ci stiamo lavorando, ma mentre ci lavoriamo, sentiamo certe dichiarazioni che ci fanno male perché gettano discredito su un’intera categoria che è a tutti gli effetti la bandiera del made in italy».
Si riferisce ancora a Coldiretti?
«Noi stiamo cercando di capire come andare incontro ai consumatori, essere sinceri e corretti. Ma con la propaganda e gli slogan non si va da nessuna parte».
Io concordo sul fatto che la nostra produzione sia sufficiente e di qualità, non ci sarebbe bisogno di importare grano dal Canada considerando anche i dazi doganali che si applicano alle importazioni di materia prima.
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